Noctis

Ideazione e regia: Marco Sanna

Con: Marco Sanna ,Francesca Ventriglia, Luana Mulas.
Produzione Meridiano Zero 2006

Nasce come progetto performativo e di riflessione, sulla condizione dell’arte e il ruolo della poesia, sulla posizione dell’artista nella società e in particolare della figura dell’attore all’interno dell’attuale panorama culturale.

Il lavoro della compagnia è stato, sin dalla sua nascita, incentrato sulla figura dell’attore-autore, privilegiando scritture sceniche aperte e regie collettive, cercando di dare un’impronta sempre originale alle proprie creazioni, qualsiasi fosse il materiale portato in scena.

Un lavoro, insomma, che privilegiasse l’aspetto della ricerca costante, anche in scena dunque, lasciando ampi margini d’improvvisazione all’interno delle strutture sceniche affrontate. Un lavoro che ha sempre messo in primo piano i protagonisti principali del dramma, gli attori dunque, affidandogli, anche a costo di eccessiva frammentarietà, la drammaturgia e il compito della reviviscenza costante dello spettacolo.
Respirate…

“Noctis…”, in costante alternanza fra toni drammatico – grotteschi e momenti di “bassa-volgare” comicità, si apre con la figura del regista guru, il santone di provincia, che dopo aver frequentato due seminari, non si sa bene dove e con chi, riunisce attorno a se un gruppo di adepti per iniziarli alla nobile arte del teatro. Fra sermoni e laboratori (costosissimi) sul corpo come “metasignificante decontestualizzato”, il nostro, costruisce il suo castello di carte.

Egli, il demiurgo, che si è allontanato dai soliti circuiti per sua stessa scelta, e sempre per sua scelta vive isolato in qualche periferia fuori dalla grazia di dio (non gli si vada a dire che la sua condizione è dovuta al fatto che nessuno lo ha mai voluto, ne ha mai saputo della sua esistenza), è convinto che solo lui ha qualcosa di nuovo da dire al teatro, ma la sua novità è talmente oltre che è inutile cercare di esporla all’incompetente vecchiume teatrale.

La media delle sue produzioni è di una ogni quattro-cinque anni, la presentazione delle stesse è accompagnata da manifesti artistici incomprensibili e avvolta nel più oscuro mistero e segretezza.

Il demiurgo non è quasi mai solo, fa coppia fissa fin dalla notte dei secoli, dai tempi in cui: “tutti eravamo più liberi e si credeva in un mondo migliore”, con la sua compagna, unica sua musa ispiratrice e interprete fissa dei suoi drammi sedimentosi, anacronistici.

Niente e nessuno può sradicare il demiurgo dalla sua cantina-teatro iper-off, convincerlo a un’apertura verso l’esterno è impresa titanica, solo un evento straordinario, solo l’intervento della natura potrebbe, con la sua forza di distruzione, smuoverne la coscienza.
E la natura interviene…

Quando meno te lo aspetti, come pare a lei, con i mezzi che ritiene più opportuni, ed è la rovina.

Ogni certezza costruita nel tempo viene spazzata via, ognuno si ritrova a dover ricostruire le fondamenta delle proprie sicurezze, il proprio posto nella storia.

La natura e il suo carico di simboli, di visioni. I soldati imbottiti di crack, la banda che li segue e apre la strada agli ignavi, che a migliaia, nei loro splendidi costumi tradizionali, con la forza premonitrice di una piaga biblica, come uno sciame di locuste, divora tutto, e lascia, dietro la propria avanzata, il deserto.

“…l’onda si ritraeva, non potevamo sapere che ne sarebbe seguita un’altra a così breve distanza…” Non potevamo saperlo, neanche il demiurgo e la sua compagna, e come tutti vengono travolti, dispersi.

Al frastuono, segue un silenzio interminabile, poi lentamente si cerca di tornare alla normalità, lentamente le luci si riaccendono, anche sul palcoscenico.

Il demiurgo è di nuovo al suo posto, ma non è più lo stesso, è profondamente segnato nel corpo e nello spirito, parla con difficoltà una mescolanza di lingue e dialetti, a fatica tenta di tessere la trama di ciò che è stato, di ciò che potrà essere. Un vortice di parole, generato più dalla smorfia spastica del suo volto, che da un flusso cosciente di pensiero. Passando attraverso la lettura di poesie, scritte di suo pugno, durante un lungo, forzato, periodo di assenza dalle scene e da lui ritenute alte, arrivando a un delirio in cui i ricordi della catastrofe si confondono a suggestioni pornografiche, echi di canti folcloristici, il demiurgo si scompone, si contorce nel suo calvario.

Gli eventi lo hanno cambiato, nella sua nuova veste, il demiurgo affronta l’esterno,o meglio è l’esterno che irrompe, squassandolo, nel suo pensiero.

Come prima, seppure in un contesto tutto nuovo, egli ricostruisce attorno a se il proprio mondo (il demiurgo infatti, deve avere attorno a se, per essere tale, una stola di affezionati, di amici e parenti), come prima, la materia effimera di cui è costituito il suo microcosmo, appare inscalfibile. La natura è raro che si manifesti due volte di seguito. Cosa potrà dunque portare nuovi stravolgimenti nella sua vita?

La gloria, o meglio la promessa del suo avvento.
“La scena è fatta per gente leggera, gente easy gente voile nessuno ha voglia di pensare, si vogliono distrarre, vogliono divertirsi, truccarsi, dimagrirsi vogliono lasciare alle spalle i problemi.”

La sua compagna, la sua musa, dalla quale era stato diviso dalla forza della catastrofe, ma potrebbe essere da un diverbio artistico, o anche una (di lei) improvvisa voglia di qualcosa di meglio o semplicemente di diverso, torna per prospettargli qualcosa d’inatteso ma forse segretamente sperato.

La sua storia è quella di tanti, e tante. Notata da un fantomatico personaggio a caccia di “facce nuove”, gente normale, di cui il palinsesto televisivo è ghiotto (nel vero senso della parola, poichè li divora), ella è ora una celebrità del suo genere (il nulla) è auspica a tutti il raggiungimento di una felicità effimera, come quella che a “fatica” si è costruita.

Lei lo apostrofa di pedanteria, e lo esorta a cambiare vita, lo può aiutare dice, ora infatti ha delle conoscenze. Il demiurgo resiste, nega un proprio coinvolgimento in attività di così basso livello, ma poi cede davanti alla promessa di un ruolo cult, anche se di secondo piano, in una nota trasmissione.

Il finale, come da lieto fine, li vede ascendere nel firmamento delle star, voltando le spalle alla polvere, alle cantine, al pubblico di provincia, amici e parenti, si, davanti ai quali erano comunque qualcuno, per entrare nell’olimpo dorato dove paradossalmente, tutti sono nessuno.

Lo spettacolo è dedicato “alla memoria” di tutti quelli che negano il lato oscuro della propria esistenza, a monito di quelli che vivono credendosi esseri speciali, non banali esseri umani come tutti. A quelli che non prendono atto della propria meschinità, ma la esprimono nascostamente, nello svolgimento delle proprie azioni quotidiane.

 

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