Domenica 12 Maggio 2019 j.19:30
Festival Internazionale di Poesia di Milano
Ex-Fornace – Naviglio Pavese 16 – Milano

Difesa di Violeta Parra

SPETTACOLO-CONCERTO DI CLAUDIA CRABUZZA E FRANCESCA VENTRIGLIA

CLAUDIA CRABUZZA voce e guitalele
FRANCESCA VENTRIGLIA interprete e voce narrante
Testi di Violeta Parra e Nicanor Parra
Adattamenti canzoni Claudia Crabuzza
Traduzione poema Defensa de Violeta Milton Fernández
Produzione Meridiano Zero

Le più intense canzoni di Violeta prendono vita in uno spettacolo-concerto dedicato all’artista cilena, svelandosi grazie a nuovi adattamenti in italiano curati da Claudia Crabuzza che canta accompagnata dal guitalele, e alle performance di Francesca Ventriglia, che dà corpo alle visioni di una autrice e donna unica, madre di tutta la canzone latino americana.

scheda completa dello spettacolo

Sabato 11 Maggio 2019
Fuma che ‘Nduma – Scuole di circo
Cavallermaggiore – Cuneo

Difesa di Violeta Parra

SPETTACOLO-CONCERTO DI CLAUDIA CRABUZZA E FRANCESCA VENTRIGLIA

CLAUDIA CRABUZZA voce e guitalele
FRANCESCA VENTRIGLIA interprete e voce narrante
Testi di Violeta Parra e Nicanor Parra
Adattamenti canzoni Claudia Crabuzza
Traduzione poema Defensa de Violeta Milton Fernández
Produzione Meridiano Zero

Le più intense canzoni di Violeta prendono vita in uno spettacolo-concerto dedicato all’artista cilena, svelandosi grazie a nuovi adattamenti in italiano curati da Claudia Crabuzza che canta accompagnata dal guitalele, e alle performance di Francesca Ventriglia, che dà corpo alle visioni di una autrice e donna unica, madre di tutta la canzone latino americana.

scheda completa dello spettacolo

Giovedì 9 Maggio 2019
Festival Abbabula
Cortile del Palazzo Ducale – Sassari
ingresso libero

Difesa di Violeta Parra

SPETTACOLO-CONCERTO DI CLAUDIA CRABUZZA E FRANCESCA VENTRIGLIA

CLAUDIA CRABUZZA voce e guitalele
FRANCESCA VENTRIGLIA interprete e voce narrante
Testi di Violeta Parra e Nicanor Parra
Adattamenti canzoni Claudia Crabuzza
Traduzione poema Defensa de Violeta Milton Fernández
Produzione Meridiano Zero

Le più intense canzoni di Violeta prendono vita in uno spettacolo-concerto dedicato all’artista cilena, svelandosi grazie a nuovi adattamenti in italiano curati da Claudia Crabuzza che canta accompagnata dal guitalele, e alle performance di Francesca Ventriglia, che dà corpo alle visioni di una autrice e donna unica, madre di tutta la canzone latino americana.

scheda completa dello spettacolo

Sabato 13 Aprile h.21:00
al Teatro Ferroviario, Sassari
ingresso: 10,00 euro
INFO E PRENOTAZIONI: info@meridianozero.org

IL CAPPOTTO
di: Nicolaj Gogol’
con: Lia Careddu
regia: Guido De Monticelli

produzione: Sardegna Teatro

Da sotto le falde del Cappotto di Gogol sono usciti tutti gli scrittori russi della seconda metà dell’Ottocento (Dostoevskij)

 

Il celebre racconto di Gogol – Il cappotto –, attraverso la sfortunata e bislacca vicenda del copista Akakij Akakievič, ripercorre alcuni motivi cari all’autore russo: il parossismo della quotidianità, i meccanismi infernali e disumanizzanti della burocrazia impiegatizia, lo sguardo lucido e ironico sulla commedia umana.
Lia Careddu sulla scena gioca con il testo, vivificando sinuosità, ambiguità, crudeltà e tenerezza di una narrazione che incontra l’insorgere di aspetti grotteschi e fantastici. Protagonista è lo spirito del racconto, incarnato nelle figure di Akakij Akakievič, del sarto, di sua moglie, del poliziotto, del “personaggio considerevole”, in un gioco fatto di distanza e personificazione, di ironia e adesione, amplificato dalla prospettiva femminile.

Lia Careddu è un’attrice da anni impegnata in un lavoro di ricerca dei diversi linguaggi teatrali, opera nel territorio regionale della Sardegna, nazionale e internazionale da trent’anni, portando in scena opere di repertorio di autori classici e contemporanei, attraverso diverse esperienze di teatro, cinema, televisione e radiofoniche. Impegnata anche sul piano didattico, in diversi interventi interdisciplinari  rivolti alla formazione dei giovani.

DIFESA DI VIOLETA PARRA
spettacolo-concerto di Claudia Crabuzza e Francesca Ventriglia

Venerdì 15 Marzo 2019 h.19:00
al Museo dell’immigrazione di Asuni
all’interno di Terre di confine filmfestival

Le più intense canzoni di Violeta prendono vita in uno spettacolo-concerto dedicato all’artista cilena, svelandosi grazie a nuovi adattamenti in italiano curati da Claudia Crabuzza che canta accompagnata dal guitalele, e alle performance di Francesca Ventriglia, che dà corpo alle visioni di una autrice e donna unica, madre di tutta la canzone latino americana.

scheda completa dello spettacolo

12 Marzo 2019 h.21:00
Teatro Civico (Palazzo di Città), Sassari
ingresso 12,00 € – ridotto 10,00 €

L’OMBRA DELLA SERA
Regia, scene, luci: Alessandro Serra
interpretato da Chiara Michelini
produzione: Compagnia Teatropersona
co-produzione: Sardegna Teatro
con il sostegno di: Centro Giacometti (Ch), Regione Toscana sistema dello spettacolo dal vivo

L’ombra della sera s’ispira alla vita e all’opera di Alberto Giacometti. La scelta di confrontarsi con questo artista nasce dalla potenza della sua opera che colpisce e suscita quel genere di emozione che si prova quando si riconosce in ciò che si vede qualcosa di familiare. Giacometti ha saputo cristallizzare la vita vivente in opere capaci di raccontare una profonda umanità. Nelle sue opere è possibile trovare un interlocutore privilegiato che ci pone di fronte a un corpo svelato, dotato di una forza sovraumana, pesante come il bronzo ma in grado, diceva Cocteau, di far pensare alle impronte degli uccelli sulla neve.
Il titolo L’ombra della sera vuole evocare quel particolare momento in cui quando scende il crepuscolo, l’artista si toglie gli occhiali, spegne la luce ed esce per addentrarsi tra le ombre che abitano il quartiere. Rimane solo l’atelier, vuoto, tutto si muove appena, continuamente si trasforma in una lentezza verticale. Riposano statue ricoperte di stracci bagnati, dee immobili nel loro sudario di silenzio, sentinelle vigili e discrete nella loro solitudine assoluta la cui bellezza, scriveva Genet: “pare risieda nell’incessante, ininterrotto andirivieni fra la lontananza più remota e la più intima familiarità: un andirivieni senza fine, che ci fa dire che sono in movimento”.

“In quell’atelier un uomo muore lentamente, si consuma sotto i nostri occhi, si trasforma in divinità femminili.”
L’opera che vede in scena un unico interprete si crea a partire da a un punto di vista femminile ispirato alle tre donne della sua vita: la madre Annetta, la moglie Annette e la prostituta Caroline. La struttura drammaturgica si compone a partire dalle opere dell’artista: forme precise da cui estrarre possibili qualità di movimento da indagare e corrispettivi frammenti di umanità da evocare. Un racconto che non vuole essere una ricostruzione della sua vita o del suo lavoro e che perciò non vuole darne una interpretazione o un giudizio. 
Il tentativo è dare corpo a quelle umanità che tanto fortemente emergono dalle sue opere, quei volti e quei corpi che plasmava o tratteggiava sul bordo di un giornale e che incontrava per strada, al caffè, nelle peregrinazioni notturne o tra le persone a lui più vicine. Corpi e volti in cui possiamo ritrovarci e riconoscerci. 
L’universo di Giacometti viene evocato con un racconto silenzioso ed essenziale, fatto di immagini e movimento. Un movimento che non corrisponde mai al puro spostamento, ma piuttosto a una qualità più profonda, intima.
Giacometti è stato uno degli artisti più rappresentativi dell’anima del 900.
Un’anima di fil di ferro che si lascia docilmente plasmare da mani che corrono instancabili.
La potenza delle sue opere può spaventare all’inizio, perché sposta in uno spazio vasto dove la luminosità del grigio è abbacinante e non fa venir voglia di addentrarsi tra queste figure scarnificate. Ma solo una lettura superficiale si ferma a una forma e a una cromia apparentemente fredde e spigolose.
Trovandoci di fronte al busto di Annette o a un suo ritratto o alla Femme debout ci si sente guardati. 
Dritto negli occhi. Profondamente. Fino a rendersi conto che sei tu che ti stai guardando come allo specchio e forse comprendere ciò che Giacometti intendeva affermando che “ogni uomo è uguale a ogni uomo”.
Questo suo essere così vicino all’umanità (e non alla società, direbbe Giacometti) è ciò che ci ha affascinato e che vorremmo evocare attraverso un punto di vista femminile: usando oggetti e creando azioni che, pur non volendo riprodurne esattamente i fatti e le opere, a essi sono imprescindibilmente legati. Scoprire e far scoprire che la materia di queste esili figure non è carne martoriata né ossa scarnificate ma piuttosto una speciale membrana, invisibile e sconosciuta che, come ossa sensibili alla pioggia, si infiamma di fronte a uno sguardo puro, capace di
attraversarne la ferita più segreta e svelarne la bellezza solitaria e dolente.
La grande avventura per Giacometti consisteva forse nel veder sorgere qualcosa di ignoto ogni giorno sullo stesso viso. In questo senso lo spettacolo si ispirerà soprattutto al suo sguardo. Le sue opere nascono dall’ossessione di ritrarre esattamente ciò che vedeva, nel modo in cui lo vedeva. Non si tratta di figure inquietanti ed estranee, nulla di più reale è mai stato scolpito da artista. È di ritrattistica dal vero che si sta parlando non di arte astratta. Sarà un ritratto dal vivo.

Organizzazione per Sassari: Meridiano Zero
info@meridianozero.org

Lo spettacolo sarà in scena anche il 10 Marzo alle h.18:00 all’Auditorium multidisciplinare di Arzachena.

Trailer:

Galleria:

 

da venerdì 15 domenica 17 febbraio 2019
venerdì e sabato: ore 21.00; domenica: ore 18.00
al Teatro Tram, Napoli

Ingresso 10,00 euro  –  prevendita online

THIS IS NOT WHAT IT IS

tratto da Otello di William Shakespeare
di e con Marco Sanna, Francesca Ventriglia
produzione Meridiano Zero

Ultimo capitolo per B-tragedies trilogia shakespeariana trash, che questa volta si confronta con Otello. La formula, come nei due precedenti capitoli che hanno affrontato Macbeth e Amleto, è quella di far reagire fra loro il linguaggio alto di Shakespeare con forme espressive molto più basse: il karaoke, con la stampa scandalistica, con le barzellette sporche, con le parolacce, con le squallide battute, con la volgarità di ogni giorno, con i soldi, con il gratta e vinci, con la tivù, con le merendine e con i villaggi turistici, con i selfie, con gli strass e le paillettes, con i cocktail colorati, con i balli di gruppo, con la tristezza della volgarità, con la volgare tristezza.

Questo è un omaggio alla spazzatura di ogni giorno, alla bassa fedeltà, alla confusione nella quale viviamo, al tradimento di ogni tradizione tradita e subita, ad ogni inutile umana speranza, alla stupidità di ogni gesto ogni parola ogni movimento a cui non ci si abitua mai. Siamo a Cipro e non succede nulla. Sono lontani i tempi quando i Turchi assediavano le coste, quando si poteva almeno menar le mani. Non è rimasto nulla neanche una fortezza da difendere. Solo la noia di chi sa di essere nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Solo i fantasmi che pian piano s’impossessano delle nostre vite, si mescolano alle nostre vicende personali. Cipro è la metafora dell’agognato luogo di residenza, quello in cui passare un breve o lungo periodo di “studio”, concentrazione, isolamento dalle distrazioni quotidiane. In scena due attori senza fantasia e senza talento, ma con un desiderio disperato di ambedue le cose. Sono artisti mediocri, che per una vita intera hanno trascinato la loro pochezza sui palcoscenici, non così fortunati da vivere la loro condizione nella totale inconsapevolezza, ma al contrario in una sorta di depressione perenne, contagiosa, ma non mortale, una febbre sottile che li accompagna in uno stato di debolezza cronica. Fra i tavolini vuoti e gli ombrelloni divelti, due anime sole e ignoranti, svuotate di ogni consapevolezza, rifiutano esse stesse di voler sapere o conoscere i motivi per i quali si trovano ad agire su un palcoscenico costretti a recitare un inutile Otello, tema obbligatorio dell’ennesimo inutile bando. Questa è la parodia del bel teatro, il buon teatro, quello con la trama narrativa, quello dei testi sacri, quello che accusa un vuoto di contenuti negli altri, sempre negli altri, quello che non si guarda allo specchio, incapace di vedere le proprie rughe.

23 e 24 Febbraio 2019

all’interno della XII stagione teatrale indipendente giallocoraggioso

TeatrodeiLimoni, Foggia

 

ADDA PASSà A NUTTATA

produzione Meridiano Zero (Sassari)
di e con Marco Sanna e Francesca Ventriglia
“Adda passà a nuttata” è il primo passo della trilogia shakespeariana trash (B-tragedies) che ha portato la compagnia ad affrontare tre grandi tragedie: Macbeth, Amleto e Otello.
Si  tratta di un lavoro in bassa fedeltà, per fronteggiare la crisi. Alla base c’è una coppia, una particella familiare infeconda e infetta, un nucleo respingente che non contempla l’esistenza del mondo al di fuori delle proprie quattro mura di casa, che distrugge tutto ciò che osa interporsi fra loro e la ricerca della pace, della tranquillità. Due anziani coniugi chiusi in un luogo di detenzione, che non verrà mai svelato. Sappiamo che hanno commesso delle azioni atroci, delitti feroci, che hanno dimenticato e di cui ricordano solo brevi particolari nella loro memoria a sprazzi. Sono due tenere figure, nonostante i segni delle atrocità commesse, due amabili vecchietti che si tengono per mano dopo aver commesso una strage. Lo spettacolo gioca continuamente fra alto e basso, fra immaginario splatter e poesia.

30 Settembre 2017 h.20:45
all’ interno del cartellone dell’  ISAO Festival
Cimitero San Pietro in Vincoli (Via S. Pietro in Vincoli, 28 Torino)

Biglietto
Intero € 10,00
Ridotto | Residenti Circoscrizione 7 € 8,00
Ridotto Operatori Studenti € 5,00

produzione Meridiano Zero
di e con Marco Sanna e Francesca Ventriglia

“Tendere alla perfezione, equivale a non perfezionarsi mai. È la messa in scena di una disarmonia che rende l’arte eterna.”
Iago

“Siamo dei grossi bambini. Ma allora, quale regno ci resta?
Il Teatro! Reciteremo per rifletterci nella finzione e lentamente ci vedremo, grosso narciso nero, sparire nelle sue acque.”
Jean Genet, I negri

Ultimo capitolo per B-tragedies trilogia shakespeariana trash, che questa volta si confronta con Otello. La formula, come nei due precedenti capitoli che hanno affrontato Macbeth e Amleto, è quella di far reagire fra loro il linguaggio alto di Shakespeare con forme espressive molto più basse: il karaoke, con la stampa scandalistica, con le barzellette sporche, con le parolacce, con le squallide battute, con la volgarità di ogni giorno, con i soldi, con il gratta e vinci, con la tivù, con le merendine e con i villaggi turistici, con i selfie, con gli strass e le paillettes, con i cocktail colorati, con i balli di gruppo, con la tristezza della volgarità, con la volgare tristezza.

Questo è un omaggio alla spazzatura di ogni giorno, alla bassa fedeltà, alla confusione nella quale viviamo, al tradimento di ogni tradizione tradita e subita, ad ogni inutile umana speranza, alla stupidità di ogni gesto ogni parola ogni movimento a cui non ci si abitua mai.

Siamo a Cipro e non succede nulla. Sono lontani i tempi quando i Turchi assediavano le coste, quando si poteva almeno menar le mani. Non è rimasto nulla neanche una fortezza da difendere. Solo la noia di chi sa di essere nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Solo i fantasmi che pian piano s’impossessano delle nostre vite, si mescolano alle nostre vicende personali.

Cipro è la metafora dell’agognato luogo di residenza, quello in cui passare un breve o lungo periodo di “studio”, concentrazione, isolamento dalle distrazioni quotidiane.

Cipro è anche il luogo lontano, una crocetta da barrare fra le varie possibilità di scelta obbligata, cui l’artista contemporaneo è costretto nella giungla dei bandi, residenze, call, casting, giri a vuoto e promesse inutili. Soltanto un luogo come un altro dove trasferire per un po’ la propria disperazione, sapendo in anticipo che nulla cambia davvero le cose.

In scena due attori senza fantasia e senza talento, ma col desiderio disperato di ambedue le cose. Sono artisti mediocri, che per una vita intera hanno trascinato la loro pochezza sui palcoscenici, non così fortunati da vivere la loro condizione nella totale inconsapevolezza, ma al contrario in una sorta di depressione perenne, contagiosa, ma non mortale, una febbre sottile che li accompagna in uno stato di debolezza cronica.

Fra i tavolini vuoti e gli ombrelloni divelti, due anime sole e ignoranti, svuotate di ogni consapevolezza, rifiutano esse stesse di voler sapere o conoscere i motivi per i quali si trovano ad agire su un palcoscenico costretti a recitare un inutile Otello, tema obbligatorio dell’ennesimo inutile bando.

Questa è la parodia de il bel teatro, il buon teatro, quello con la trama narrativa, quello dei testi sacri, quello che accusa un vuoto di contenuti negli altri, sempre negli altri, quello che non si guarda allo specchio, incapace di vedere le proprie rughe.