Testo, regia e interpretazione /Daniele Timpano
Ispirato liberamente all’opera di Go Nagai
Disegno luci e voce narrante/ Marco Fumarola
Musiche originali / Michela Gentili e Natale Romolo
Montaggio audio / Lorenzo Letizia
Editing e missaggio / Marzio Venuti Mazzi
Aiuto regia / Valentina Cannizzaro

Produzione Frosini/Timpano
In collaborazione con Armunia

Ero bambino, tra gli anni ’70 e gli anni ’80, quando arrivarono in Italia i primi cartoni animati giapponesi. Era l’Italia delle stragi, del rapimento di Aldo Moro, delle Brigate Rosse e dell’ascesa di Silvio Berlusconi e delle sue televisioni, ma questo io non lo sapevo ancora. Ignaro di trovarmi nel bel mezzo degli anni di piombo, vivevo l’infanzia tra robot d’acciaio.
Ispirato liberamente all’opera di Go Nagai (Jeeg Robot, Goldrake, Mazinga) lo spettacolo è il divertito ed autocritico racconto di una generazione cresciuta davanti alla Tv.
Un attore ricostruisce la trama di un vecchio cartone animato giapponese. Ispirato liberamente all’opera di Go Nagai (fra gli altri, Goldrake, Jeeg Robot, Space Robot, Jet Robot, Il Grande Mazinga, Mazinga Z) lo spettacolo ripercorre per frammenti l’immaginario eroico di una generazione cresciuta davanti alla TV nell’Italia delle stragi, del rapimento di Aldo Moro, delle Brigate Rosse, dell’ascesa di Silvio Berlusconi e delle sue televisioni.
Tra resoconto delle trame dei singoli episodi dei cartoni giapponesi (con particolare attenzione per la sceneggiatura di Mazinga Z) e ricostruzione storica di un’invasione (quella dei serial nipponici nei palinsesti pubblici e privati, ma anche quella della televisione dentro le nostre teste), lo spettacolo è il divertito e autocritico racconto di una generazione che, ignara di vivere negli anni di piombo, cresceva tra robot d’acciaio.

di e con Roberto Scappin | Paola Vannoni
produzione quotidiana.com
con il contributo di Provincia di Rimini | Regione Emilia Romagna

3° episodio della Trilogia dell’inesistente_esercizi di condizione umana

Un uomo e una donna snocciolano un dialogo surreale fatto di piccoli particolari del quotidiano, ma anche di domande che aspirano a risposte alte. Grattati e vinci è il terzo e ultimo episodio della Trilogia sugli esercizi di condizione umana, attraverso la quale Quotidiana.com gioca col senso delle parole portandole su un piano astratto e tagliente. Come in un limbo le due figure trasudano di solitudine e incertezza e il loro vagare nel pensiero apre squarci comici inaspettati.

Non si fatica ad immergersi nella tangibilità di quanto dicono. Il pensiero assillante del futuro, di una utopica pensione, l’amore apatico, il progetto di un’associazione a delinquere, addirittura la concezione di un melodrammatico suicidio di coppia”.

Lo sgomento di come siamo. 

Poetry slam “A ferro e fuoco”

KA-BOOOOOOM!
Per la prima volta il Poetry Slam Sassari esplode a Teatro a mo’ di molotov poetica scagliata nell’universo-cosmo Ferroviario nel centenario della Rivoluzione d’Ottobre 1917.
Le migliori bocche di fuoco del Poetry Slam Sardegna si sfideranno senza esclusione di colpi, verbi, corpo a corpo. -Dateci nuove forme! – è il 2° ordine, sempre assetato e in attesa, all’armata delle arti, di Vladimir Majakovskij, ed eccoci al dunque.
Cittadine e cittadini! Compagni e compagne!
La sfida, animata dal Presidente della Federazione Cosmonauticopoetica L.I.P.S. Sergio Garau e supervisionata dal notaio infiltrato multibarricata Giovanni Salis, vedrà all’opera supercampioni e supercampionesse:
Alessandro Doro (Bronzetto d’Oro 2017)
Ignazio Chessa (Bronzetto d’Oro 2016)
Luana Farina (Bronzetto d’Oro 2015)
Roberto Demontis (sfiora il podio del campionato italiano LIPS 2017)
Roberta Cucciari (Premio della Critica 2015)
Cristiano Mattei (Premio della Critica 2016)
Helel Fiori (finalista Poetry Slam Sardegna 2016)
Pupa Niolu (menzione speciale Premio Ozieri 2017).

Le regole del Poetry Slam son sempre le stesse:
– 3 minuti di tempo uguale per tutti – non son consentiti oggetti scenici, ammascheramenti, musiche o altre borghesezze simili – i testi devono essere scritti di proprio pugno, meglio se chiuso e teso.

Inizio ore 20:00
Ingresso 8,00 euro (compreso lo spettacolo che segue h. 22:00)
Ingresso studenti 5,00 euro

di e con Gaetano Ventriglia e Silvia Garbuggino
produzione: Compagnia Garbuggino/Ventriglia – Armunia
musiche composte ed eseguite da Gabrio Baldacci

Guardiamo al don Chisciotte attraverso uno sguardo donchisciottesco, in un rapporto reciprocamente immaginifico con la chitarra baritono Danelectro di Gabrio Baldacci.

Portiamo in scena la relazione tra l’essere umano nell’estrema nudità esistenziale e l’archetipo del don Chisciotte. Un don Chisciotte che parla parole di Paul Eluard, che esiste idealmente nello stupore e che attraversa e ci chiede un attraversamento lucido della notte del mondo e dell’uomo. Fino all’alba: la resurrezione dello sguardo aperto su un mondo anch’esso risorto, che risorge ogni giorno, sulla bellezza del creato non più straziante ma colma di tenerezza.

E mentre Sancho Panza vede pecore e montoni laddove il suo signore vede cavalieri e principi, un cavallo viaggia nello spazio-tempo di un universo trasparente: un ronzino di nome Ronzinante.

“ Essere un bambino
Essere piuma al nascere”

“ Cammino tra la terra e le nuvole. Ma adesso dove c’erano nuvole c’è terra, e dove c’era terra ci sono nuvole. E cammino, e man mano che vado avanti la luce è così forte che i contorni delle cose si piegano e si sovrappongono tra di loro. Anzi, le cose diventano trasparenti e attraverso ogni cosa riesco a vedere tutte le altre cose. Le età della mia vita e di tutte le vite. Tutto si vede e ogni cosa si vede per mezzo di tutte le altre cose. “

progetto e soggetto di Giordano V. Amato e Gabriele Zunino
drammaturgia e regia Giordano V. Amato
con Gabriele Zunino
produzione Il Mutamento Zona Castalia

Si chiama giro girotondo…
Giro giro tondo, casca il mondo, casca la terra.
Hal 9000 (2001 odissea nello spazio)

L’Attore
Cosa c’è di più attuale del Mito?
E dell’Amore? Ovviamente un amore dalla forte componente sessuale.
E dello Spirito? Lo Spirito, quello che la “S” maiuscola, un po’ divino, un po’ terrigno, su e giù dalla scala di Giacobbe.
Mi faccio in tre per raccontare tre storie adulte, con tre personaggi, che poi magari sono solo uno.
Oppure sono tanti quante sono le fonti: innumerevoli. Tre modi differenti di cercare la stessa cosa: la felicità. Attraverso fama e successo, o attraverso sesso e amore, o nel viaggio da terreno al divino. La mia piccola trinità.
Stiamo insieme un po’ di tempo. Senza intrattenerci, ma senza impegnarci troppo. Divertiamoci.

Il Regista
Gli attori parlano troppo. O parlano troppo poco. Dipende.
Il teatro non è divertente, lo sanno tutti.
Il teatro è un esame. L’unica cosa davvero importante è la memoria, il non parlare a vanvera, o peggio: parlare tanto per parlare.
L’importante è che l’attore dica quello che deve dire, che non divaghi, o peggio, approssimi. Lo spettatore è l’esaminatore. Dall’attore deve esigere una memoria perfetta. Non è importante che segua la storia o che la capisca. L’unica cosa davvero importante è che possa verificare passo passo la perfezione della memorizzazione. Poco male se si parla di cazzate.
Per descrivere questo spettacolo è sufficiente una parola: contagio. Le catene che evoca sono infinite: quello epidemico, quello religioso, quello terroristico, un’invasione aliena, la paranoia, le tette, la visione della Madonna…
Insomma, tre storie attuali, che parlano di diffusione e di contagio. Che parlano di noi. Vedere per credere.

omaggio a Giuseppina e Albina Coroneo
produzione Is Mascareddas

Da un’idea di Donatella Pau
Regia: Karin Koller
Animazione: Donatella Pau, Mimmo Ferrari
Musiche originali: Tomasella Calvisi
Progetto costumi e scene, scultura e pittura figure: Donatella Pau
Costruzione scene e figure: Antonio Murru, Donatella Pau, Fabio Atzeni
Aiuto sartoria: Alessandra Solla, Simona Cadeddu
Costumi animatori: Anna Sedda
Trottola: Manuel
Disegno luci: Loïc François Hamelin
Tecnico audio luci: Fabio Atzeni

Una piccola marionetta è appesa a pochi fili. Una figura elegante avanza con piccoli passi verso la marionetta fino a prenderle le mani. Inizia così, in un paesaggio cittadino misero, brullo e polveroso, si compie il cammino solitario di due sorelle. Le figure sono la riproduzione dei pupazzi-autoritratto di Giuseppina e Albina Coroneo. Con Giuseppina e Albina appaiono otto personaggi ispirati ad altrettanti pupazzi che le artiste cagliaritane costruirono dal secondo dopo guerra fino agli anni Settanta del secolo scorso e che la compagnia Is Mascareddas fa rivivere a teatro sulla scorta della monografia di Vittorio Sgarbi e Marco Peri “Coroneo. L’opera di due sorelle artiste artigiane” (Ilisso edizioni) e della mostra omonima allestita a Cagliari nel 2009, lo stesso anno di pubblicazione del volume.
I pupazzi raccontano con prepotente realismo la condizione umana dopo una catastrofe, o una guerra. Tra questi uno spazzino, che tenta invano di cancellare i ricordi spazzando la strada, ma i ricordi, si sa, se sono delle ferite non è semplice cancellarli via. La vita in questo brandello di città è resa in frantumi difficili da sgombrare, perché i ricordi sono li e pesano come macigni.
Ognuno dei personaggi – teneri e fragili vecchi, sopravvissuti all’usura delle carni e delle anime – continua a fare le cose semplici alle quali ha dedicato tutta l’esistenza e tenta di riprendersi la vita, ma il dopo è sempre più difficile da ricostruire. Una prostituta agita un fazzoletto rosso sperando che si avvicini un cliente, ma il suo corpo da vecchia non può attrarre più nessuno. Un uomo vorrebbe avvicinarsi, ma è prigioniero, agita una mano ma non può far di più. Il vento soffia in senso contrario su tutti i personaggi di questa piccola città, ma la forza dei personaggi è altrettanto ostinata e contraria rispetto al vento.
Lo spettatore è accompagnato in un percorso di piccole scene guidato dalla regia di Karin Koller: i minimi movimenti delle figure, animate a vista da Donatella Pau e Mimmo Ferrari, si fondono in perfetta sincronia con le “identità sonore” e le musiche create dalla voce della cantante Tomasella Calvisi e con le luci disegnate da Loïc Hamelin.

16-17-18 ottobre ORE 19.30
25-26 ottobre ORE 19.30
27-28 ottobre ORE 18.30

Durata 15 minuti, 10 spettatori alla volta, richiesta prenotazione a info@format-azione.com o direttamente alla biglietteria del Teatro Ferroviario.

Ogni giorno della rassegna sarà possibile, prima degli spettacoli al Teatro Ferroviario, assistere a una performance che mette in scena il falso diario confidenziale di una donna qualunque presso gli spazi del centro culturale L’Ultimo Spettacolo.

Cosa ho fatto o cosa semplicemente non è successo oggi?
Cosa significa scrivere un diario. Di cosa ho tenuto traccia e cosa non ho annotato. Dove risiede e come si manifesta l’intima, confidenziale, auto-narrazione della nostra esistenza.

L’annotazione diaristica è diventata una iper narrazione mediatica, attraverso autoscatti giornalieri, brevi video, aforismi di persone note prese in prestito e riflessioni personali elevate a citazioni dotte. Ci siamo abituati a leggere le vite degli altri e a documentare superficialmente la nostra, che risulta quasi vacuo l’interrogarsi sulla modalità di trasmissione della vita di ogni giorno.

Il dispositivo scenico è composto per sette giorni da sette performance che variano e mutano giorno per giorno. Grazia DiDio è una donna disoccupata, dalle giornate deprivate di impegni e convenzioni sociali. La vita scorre tra i biscotti della colazione, le chat di facebook e le passeggiate intorno al quartiere. Una vita in cui non succede niente di degno di nota, ma che lei documenta con la precisione di una scrivania. Un personaggio inesistente, una disoccupata, che scorre le pagine della sua vita da casalinga 3.0, che respira e parla, si muove, nel proprio appartamento che assume i tratti di una personale prigione.

foto di Gabriel Kudu

di Anna Destefanis
con Vanessa Podda, Luca Lai, Thomas Rodgers, Anna Destefanis, 7 partecipanti al workshop e 9 spettatori circa
setting Leonardo Mazzi
costumi Desacrè, Salvatore Aresu, Otreblalusac
produzione Compagnia B, Codice Ivan
in collaborazione con Cesp, Lariso, Sardegna Teatro, Regione Autonoma della Sardegna

 

Vorrei girarmi indietro e poi guardare avanti, per capire meglio dove sono e dove sto andando.
Vorrei farlo con voi, perché ci sono cose che da soli non si possono fare.

Century è una di quelle.

 

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(Valido fino al 8/10/2016)

Regia: Marco Sanna
con: Felice Montervino, Marco Sanna, Marialuisa Usai, Francesca Ventriglia.
Scene e costumi: Sabrina Cuccu Luci: Valerio Contini Ambienti sonori: Luca Spanu Foto di scena: Alec Cani
Produzione Sardegna Teatro

 

Nasce, questo lavoro, dalla volontà di raccontare uno stato di attesa, quello in cui si aspetta di essere dimenticati. Si parte da un dato di fatto: la morte della tradizione. La tradizione è morta ma viene continuamente chiamata in causa, in una sorta di accanimento terapeutico, impedendogli di morire davvero. Ogni volta che ci si allontana dal conosciuto, si ha immediatamente bisogno di tornare indietro, raccogliere le forze, consolarsi, per poi di nuovo allontanarsi, e così siamo legati ad un eterno elastico, che regge l’impossibile, che non riesce a spezzarsi.
Cosa vuol dire non riuscire a morire? Vuol dire attraversare molto più tempo di quel che ci è dato vivere, vuol dire non rispettare i tempi e le stagioni, togliersi fuori incautamente dalla legge di natura. Le cose diventano così qualcosa di estremamente lontano e diverso, rispetto a ciò che erano quando quando sono nate, la stessa differenza che passa tra Cristo e chi oggi si fa detentore della sua parola.
Ciò che dovrebbe essere fluire del sangue, continuità di gesto, di pensiero, di azione, diventa un astratto ricordo, un abito da mettere o cambiare a seconda dell’occasione, una citazione da fare quando si è a corto di argomenti. Tradizione è un concetto metastorico e dinamico, una forza ordinatrice in funzione di principi trascendenti. Una forza che agisce lungo le generazioni, attraverso istituzioni, leggi e ordinamenti.

 

Insomma qualcosa con cui ti trovi a fare i conti pur non sapendo più bene dove ne sia l’origine. Qualcosa che permane nonostante l’incedere del tempo e dei fatti. qualcosa che ti trovi addosso, in segni, modi di pensare e di agire, che si voglia o no, malgrado tutto.

 

 

 

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(Valido fino al 8/10/2016)

di Batisfera Teatro
Regia e Drammaturgia di Angelo Trofa
Con Valentina Fadda e Angelo Trofa
Scenografia Sabrina Cuccu
Costumi Sabrina Cuccu e Adriana Geraldo
Attrezzeria Simona Passi
co-produzione Akroama – Sardegna Teatro

Quotidianamente siamo assediati dalla domanda “Come stai?”.
Una gentilezza di circostanza, una domanda affettuosa o semplicemente una mera formalità che lascia aperto un problema profondo: come sto?
Sto bene, sto male, abbastanza bene, abbastanza male.

 

La domanda è troppo banale per rispondere con tutta la complessità necessaria o è troppo complessa per rispondere con tutta la semplicità necessaria.Come sto è un dialogo sconnesso, un fiume di parole dove stati d’animo, sensazioni, eventi e accidenti concorrono a dare risposta alla domanda “Come stai?”.
Mille risposte possibili, tutte insieme, mescolate, in contraddizione.
Un quadretto assurdo e definitivo, un fluire di parole per definirsi almeno per un attimo, per recintare temporaneamente il caos dilagante, tutto quel rumore che concorre a rendere difficile la risposta all’eterna domanda “Come sto?”

 

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(Valido fino al 8/10/2016)