liberamente tratto da “La via del pepe” di Massimo Carlotto.

Regia: Marco Sanna
con: Antonio Murru
Musiche: Mauro Palmas
Scene e costruzione burattini: Donatella Pau
Progetto e costruzione scene : Antonio Murru, Donatella Pau
Aiuto sartoria: Simona Careddu, Maria Pasqua Carboni
produzione Sardegna Teatro, Is Mascareddas

 

Un uomo sulla spiaggia, portato dal mare, di cui non sappiamo nulla. Come una cosa buttata li, un relitto, un rifiuto corroso e smussato dalle onde, qualcosa non più riconoscibile a cui non sappiamo dare un nome, che ha perso la sua funzione originale e adesso sta li davanti ai nostri occhi in attesa di una nuova identità. Inizia così la nostra storia, come quella dei tanti invisibili che sbarcano sulle coste italiane e attraversano la penisola da sud a nord per raggiungere il confine. Fantasmi, a cui viene assegnata un’identità solo nel momento in cui li si arresta e li si rinchiude, con l’unica colpa di aver esercitato il proprio diritto alla sopravvivenza, nessuno li cerca, ogni istante della loro esistenza è priva di certezze.
Lo spettacolo narra la storia di uno di loro, cerca di rendergli giustizia, ricostruisce la sua parabola umana, dalla partenza piena di sogni fino al rimpatrio forzato. Nel mezzo c’è stato un naufragio e Amal (questo è il suo nome) è stato il solo a salvarsi, la morte lo ha tenuto a galla e ha giocato con la sua vita, gli ha mostrato il destino dei tanti come lui che non ce l’hanno fatta, lo ha portato a spasso per il mediterraneo illustrandogli le gesta di quel popolo silenzioso, incapace di nuotare, che sfida il destino e le onde nella speranza di un domani migliore.

Con Giacomo Casti, Arrogalla e Gianluca Dessì
produzione Chourmo/Marina Cafè Noir 2015.

 

“Il paese di Sergio è una terra di linguaggi, di ombra e di luce, e di diversità. Egli capiva ciò che io dicevo. Lo sapeva già. Avevo in Sergio una bella proiezione di ciò che mi sforzo di diventare nelle angosce della scrittura. Il mondo ha perso uno di quei poeti discreti che fondano la forza dei venti e delle stagioni. Ho perduto un amico. Fratello, senza di te, mi sento di colpo impoverito di mille anni.” Patrick Chaimoesau.
Nel ventennale della sua scomparsa, un viaggio letterario e musicale nella sensibilità, nell’urbanità e nella ricchezza formale del grande scrittore cagliaritano Sergio Atzeni, accompagnati dalle musiche profonde e liquide di Arrogalla (al secolo Frantziscu Medda) ai campionatori e al live-electronics e Gianluca Dessì (Cordas et Cannas, Elva Lutza) alle mandole.

 

 

Tributo a Sergio Atzeni
Scritto, diretto e interpretato da Valentino Mannias
Musiche e rumori: Luca Spanu
Regia e disegno luci : Valentino Mannias

La storia che raccontiamo è quella di un giovane che parte lontano dalla sua terra: la Sardegna, piùprecisamente il Medio Campidano.
Giancarlo parte negli anni ’70 in cerca di fortuna, ma potrebbe lasciare la terra natia in ogni epoca, che sia di crisi o meno non importa: viene da una terra dove si dice sempre che “per i giovani non c’è futuro”, e chiunque consiglia di partire e di non tornare troppo presto.
“Bona fortuna e bonu viaggiu fillu miu, e abarra attentu!”
Un viaggio attraverso le generazioni, una brillante narrazione accompagnata da un musicista che sta con l’attore in tutte le situazioni che compongono il grande esodo.

di e con Roberto Scappin, Paola Vannoni
produzione quitidiana.com, Kilowatt festival Sansepolcro, Provincia di Rimini

Secondo capitolo della trilogia dell’inesistente.
Il primo, Tragedia tutta esteriore, alle prese con una vendetta;
il secondo, dal titolo “Sembra ma non soffro”, si confronta con l’attesa e l’estraneità; il terzo, Grattati e Vinci, si proporrà lo scrivere e il produrre attraverso i mezzi stessi dell’impotenza.
“Sembra ma non soffro” non si propone di indagare il dolore, ma di trattare l’indecenza del dolore, così come è indecente dire il dolore. Così indicibile da voler ostinatamente essere detto. Esiste un dolore reale? quello che rifiuta di essere detto?
L’estraneità e l’attesa di “Sembra ma non soffro” non rappresentano antidoti al dolore, sono semmai una degenerazione della sofferenza, tanto che nulla sembrerebbe legare le due figure in scena al tema che le ha scaturite, nulla tranne essi stessi, posti su due inginocchiatoi ma con niente di cui pentirsi né qualcuno a cui rivolgere una preghiera.

– Come figure incasellate nella striscia di un fumetto, aspiriamo a un altrove e ci dibattiamo come sbavature di un disegno nel recinto angusto della vignetta. –

Regia Giordano V. Amato e Eliana Cantone.

Drammaturgia Giordano V. Amato.

Con Eliana Cantone e Gabriele Zunino.

Nel 1914, nel corso della grande guerra, nei territori di confine tra Italia e Austria, il cammino del piccolo Olmo, figlio di un’italiana e di un austriaco, incontra quello di Marta, giovane portatrice.

Marta conosce la prima linea e, come una novella Antigone, seppellisce i poveri corpi abbandonati, a qualunque schieramento appartengano.

Testimonianze vere s’inseriscono su una storia fantastica che ha per centro il rifiuto della guerra e l’eroismo al femminile, ignoto ai più.

Con Antonio Murru. Regia di Antonio Murru e Donatella Pau.

Nato in occasione del trentennale della compagnia, lo spettacolo è mosso dall’esigenza di un tributo simbolico, al lavoro svolto in questi anni, ma anche al ruolo che ancora la burattineria riveste, sebbene silentemente, nel panorama delle possibilità espressive delle arti sceniche, con la sua straordinaria capacità di emozionare.

Anima e cuore sono gli ingredienti che un burattinaio deve trasferire nel corpo del burattino perché possa verificarsi il prodigio tutto peculiare del Teatro di Animazione, in cui un oggetto inanimato, agli occhi del pubblico, prende vita.

Di e con Roberto Scappin e Paola Vannoni.

Due cow-boy, poi improbabili danzatori, o forse solo due esseri in bilico ai limiti del paradosso pronunciano il loro bà-sta! un’esclamazione forte, quasi performativa, che traccia il confine dell’opportunità o della sopportazione e genera una cesura fra presente e futuro.
Sui margini di questa cesura si pongono le due figure attraversando ciò che necessita di essere ripensato, dal rapporto con la morte a quello con la bellezza, dal senso del teatro alla sua relazione con lo spettatore.

Di e con Maria Luisa Usai aiuto regia Irene Maiorino.

Giulietta Delli Fiori è una buffa clochard che vive in un’aiuola nei pressi della stazione. Sola, come un papavero dentro un vaso cinese in un salotto color panna.

Vuole gettarsi nel vuoto, vuole dimenticare l’amore. Ma il salto non avviene mai.

Si compone così il racconto di un cuore zoppicante che ride a squarciagola nel suo mondo incontaminato. Una donna, una barbona impigliata nelle maglie del tempo, è ossessionata dai fiori e dall’amore. Stanca dei continui colpi che le ha riservato la vita, ha deciso di farla finita, gettandosi da un dirupo.

Regia, drammaturgia e spazio scenico: Juri Piroddi, con: Antonio Sida.

Un giorno nella vita di un – ancora poco noto – scrittore ubriacone di 55 anni, vero “scarafaggio nella cattedrale”, la cui unica ambizione è quella di non essere nessuno.

Fra incubi, bevute, una conferenza sulla poesia, un giro all’ippodromo, i bar, l’incontro casuale con un messicano in un vicolo dei bassifondi nel cuore della notte a parlare di donne, di sesso, di alcol… Quando l’unica cosa che conta è provare a sentirsi davvero vivi mentre si è circondati da morti viventi: “Passai accanto a duecento persone e non riuscii a vedere un solo essere umano.”

Con Giulio Landis e Stefano Farris

Scritto e diretto da Giacomo Casti.

Due uomini seduti a un tavolo, in un non meglio precisato nascondiglio. In attesa. Un futuro tanto prossimo quanto indefinito, in una Sardegna che non è più la Sardegna di oggi, ma mantiene ancora forti tutti i suoi connotati e tutte le sue problematiche, sociali e politiche.
Rosencrantz e Guildenstern sono due personaggi minori dell’Amleto: spie, amici d’infanzia del principe danese e figure ambigue dalla fine incerta. Rosencrantz e Guildenstern sono morti è una piece tragicomica e un film del drammaturgo Tom Stoppard, lavoro ascrivibile ai territori del Teatro dell’assurdo.